Il silenzio del femminismo o sul femminismo?

di Lea Melandri

 

Ho alle spalle una storia del movimento delle donne abbastanza lunga per ricordare le alterne vicende che ha avuto nel tempo, non dico la cultura che ha prodotto, ma la parola stessa ‘femminismo’. Passato il decennio degli anni ’70, in cui aveva goduto o patito, a seconda dei punti di vista, di una straordinaria attenzione da parte dei media, e proprio nella fase in cui il ‘movimento femminista’ si andava trasformando in ‘femminismo diffuso’  -nelle università, nei tribunali, nelle professioni, nei partiti, nei sindacati, nell’editoria, ecc.-, una esperienza collettiva di innegabile portata rivoluzionaria, tutt’altro che esaurita, si è trovata a fare i conti con le paure, i risentimenti, le ostilità trattenute, le solidarietà forzate che si era prevedibilmente lasciata dietro. Mi è capitato spesso, in occasioni pubbliche, di constatare che ‘femminista’ era diventata una connotazione negativa, scomoda, che era meglio tenere celata se si voleva trovare lavoro o ascolto.

E’ così che, per effetto di un capovolgimento noto  - lo stesso per cui si creano i disadattati per incolparli del disadattamento -, la ‘messa sotto silenzio’ è diventata ‘il silenzio delle donne’, interrotto solo da sporadiche manifestazioni di piazza, destinate a scomparire con la stessa rapidità dei fantasmi che sembravano evocare. Non sono bastati neppure i cortei affollatissimi di Milano, nel gennaio 2006, e di Roma, nel novembre 2007, sulle questioni dell’aborto e della violenza maschile contro le donne, a destare un interesse duraturo per la cultura che più in profondità ha intuito e analizzato la crisi a cui stava andando incontro la politica, scossa nelle sue fondamenta da tutti gli aspetti dell’umano considerati tradizionalmente ‘non politici’, confinati nella sfera del privato o in una natura astorica. Poi, improvvisamente, quello in cui non sono riusciti quarant’anni di produzione ininterrotta di libri, riviste, associazioni, centri di studio, archivi, centri antiviolenza, mobilitazioni di piazza, documenti collettivi – e cioè vincere l’ottusa, arrogante o interessata indifferenza di tutta la nostra cultura, alta e bassa, accademica e mediatica -, è accaduto in modo  imprevedibile e inaspettato, come effetto collaterale dell’onnipotente personalizzazione della politica del nostro Presidente del Consiglio.

Che a ‘mettere a nudo il re’ siano state le stesse figure femminili che credeva di aver asservito  - mogli e cortigiane - può essere letta come una di quelle ironie o vendette della storia che fanno sperare in una qualche invisibile giustizia, o, più realisticamente, stando a quanto hanno scritto voci rappresentative del femminismo storico, come “la diffusa incapacità maschile, in tante situazioni e rapporti, a cimentarsi con donne non subalterne”, la miseria della mascolinità, il venire allo scoperto del sistema di scambio tra potere, sesso e denaro. (Il Manifesto 23.8.09).

L’ampio, acceso dibattito, che ha fatto seguito alla vicenda ‘personale e politica’ di Silvio Berlusconi, non poteva che far risaltare ancora più vistosamente l’ignoranza, la superficialità e la faciloneria, nel modo con cui da più parti, da destra e da sinistra, da uomini e da donne, colti e incolti, si tornava a parlare di femminismo: slogan mal interpretati, accenni approssimativi, stereotipi, rimproveri o paternalistici consigli per una ripresa di movimento sulla base di questo o quell’interesse particolare. Umberto Veronesi, sul Corriere della sera  (21.8.09),ha prospettato addirittura un decalogo delle virtù femminili su cui costruire un ‘nuovo femminismo’. Nel coro generale dei riesumatori di un movimento dato come defunto o silenzioso, si sono andate a collocare anche donne che, per professione, cultura, impegno politico, si sarebbe immaginato capaci di riportare alla dovuta attenzione dei media il pensiero, le iniziative di singole e gruppi femministi operanti da anni, e particolarmente presenti, nel contesto attuale, con documenti, prese di posizione, articoli e lettere, diffusi soprattutto in reti e siti internet.

Se ha fatto piacere veder ricomparire la parola ‘femminismo’ suquotidiani come Repubblica, Corriere della sera, L’Unità, non poteva non lasciare perplessi, indignati o amareggiati, la chiusura con cui ancora una volta si faceva fronte a un pensiero lungamente elaborato e divenuto di incontestabile attualità, sia pure in modi e per ragioni lontane da quello che è stato l’assunto iniziale del movimento delle donne. A fronte dell’allarme quasi giornaliero delle maggiori testate sul ‘silenzio del femminismo’, si contavano con incredulità le lettere, i documenti collettivi, gli appelli firmati da centinaia di donne che venivano ignorati, non importa molto se non visti o censurati.

Viene allora spontaneo chiedersi a chi si rivolga l’urlo ‘movimentista’ che occupava giorni fa la prima pagina dell’Unità (5.9.09) –“Usciamo dal silenzio”, “Movimento di donne”. Stando all’articolo di Lidia Ravera, sembrava che tra le poche che scrivono sui giornali e la massa delle donne “umiliate” dall’immagine che si sta dando di loro, donne che si vorrebbero veder scendere in piazza, non ci sia nient’altro: non una storia, non la produzione ininterrotta di cultura politica, di iniziative diffuse in ogni città, non istituzioni nate nel corso di decenni per il desiderio di dar seguito e approfondimento ai temi e alle pratiche degli inizi. Perché le femministe, oggi di generazioni e formazioni diverse, ma pur sempre in rapporto tra loro, dovrebbero mobilitarsi in difesa di una informazione che fa finta che non esistano?

La libertà di informazione è un bene universale, la garanzia primaria per un sistema democratico, e questo basta per pensare che va difesa comunque, che contro la denuncia di Berlusconi a Repubblica e L’Unità è importante essere in tante e tanti alla manifestazione del 19 settembre.
Ma per far rinascere un ‘movimento di donne’ ci vogliono, da parte dei media di maggiore diffusione, e soprattutto da parte delle donne che vi hanno accesso,  un’attenzione e un impegno diverso, fatto di ascolto, reciprocità, incontri, scambi anche conflittuali di opinioni. Quello che finora, purtroppo, è mancato.

8 - 9 - 09

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